
Quando pensiamo all’intelligenza umana, il cervello sembra l’unico protagonista. Ma una nuova ricerca delle università di Cambridge e Oxford suggerisce che le radici del nostro pensiero potrebbero affondare altrove: nella placenta. Questo organo effimero e silenzioso, che per nove mesi media tra madre e feto, potrebbe aver lasciato un’impronta decisiva sullo sviluppo cerebrale e sociale della nostra specie.
Placenta e intelligenza umana: un legame sorprendente
Il cervello non è un’isola: l’evoluzione ha radici più profonde
L’intelligenza umana viene spesso raccontata come il trionfo del cervello: sede del linguaggio, della creatività, della logica e dell’immaginazione. Eppure, prima ancora che si formi il primo pensiero, prima che apriamo gli occhi al mondo, c’è un altro protagonista all’opera: la placenta.
Lo studio pubblicato su Evolutionary Anthropology dai ricercatori di Cambrige e Oxford suggerisce che la placenta abbia giocato un ruolo cruciale nella nostra evoluzione. Un ruolo talmente raffinato da spingersi oltre il semplice compito di nutrire il feto: quello di modellare il cervello, e con esso la nostra capacità di socializzare, cooperare, pensare in grande.
Un’ipotesi che scardina la narrazione classica dell’evoluzione umana, perché sposta lo sguardo dall’individuo alla relazione. Non solo ciò che siamo, ma come siamo venuti al mondo, potrebbe aver fatto la differenza.
La placenta come “architetto invisibile” della mente e dell’intelligenza
La placenta è un organo temporaneo ma straordinariamente complesso: regola lo scambio di ossigeno e nutrienti tra madre e feto, protegge dalle infezioni e modula la risposta immunitaria. Ma la sua funzione più sottile è quella ormonale.
Il ruolo degli ormoni steroidei
Durante la gravidanza, la placenta produce ormoni steroidei come testosterone ed estrogeni, che influenzano direttamente lo sviluppo del cervello. Questi ormoni, oltre a guidare la crescita fisica, incidono sul comportamento sociale e sull’equilibrio emotivo del nascituro.
L’enzima aromatasi e la svolta umana
E qui entra in scena l’aromatasi: un enzima presente in quantità maggiori nella placenta umana rispetto ad altri primati, che converte il testosterone in estrogeni. Più aromatasi significa più estrogeni, e questo – secondo gli scienziati – si traduce in cervelli più connessi, meno aggressività, maggiore empatia. In altre parole: una mente progettata per vivere in gruppo, per imparare dagli altri, per costruire legami.
Un cervello meno “competitivo” e più “cooperativo” potrebbe essere stato il vero punto di svolta nella nostra evoluzione. Un’intelligenza che non nasce dal dominio, ma dall’interdipendenza.

Più estrogeni, più cooperazione: un cervello plasmato per la socialità
Il cervello umano è famoso per la sua plasticità, la sua capacità di apprendere, di risolvere problemi, di adattarsi. Ma forse, prima ancora che diventasse uno strumento razionale, è stato un dispositivo relazionale.
Il fatto che la placenta umana favorisca la produzione di estrogeni significa che, già in fase prenatale, potremmo essere stati predisposti a sviluppare reti neurali orientate alla cooperazione, alla cura, alla costruzione di comunità. È questa la tesi affascinante proposta dai ricercatori inglesi.
Nei millenni, questa predisposizione avrebbe facilitato la nascita di gruppi sociali sempre più coesi e articolati, dove la collaborazione ha reso possibile la trasmissione della conoscenza, l’organizzazione sociale, la cultura. Senza questo “software di base” biologico, forse non avremmo mai costruito civiltà, né scritto romanzi, né sognato l’intelligenza artificiale.
Le implicazioni per il futuro dell’umanità (e della scienza)
Riconoscere alla placenta questo ruolo invisibile ma potente cambia il modo in cui comprendiamo la nostra storia evolutiva. E apre nuove domande: se un organo temporaneo può incidere così profondamente sul nostro destino, cos’altro ci stiamo perdendo? In quali altri angoli del corpo – o della biologia – si nascondono risposte che stiamo ignorando?
La scienza, ancora una volta, ci invita a rovesciare le nostre certezze. E lo fa senza spettacolo, come la placenta stessa: nel silenzio della ricerca, nell’umiltà di chi osserva, nel coraggio di chi non si accontenta della superficie.
Siamo esseri interconnessi perché lo siamo stati fin dall’inizio. E quella connessione – fragile, complessa, potentissima – è forse il nostro tratto più distintivo.
Sostenere la ricerca, quella indipendente
Il collegamento tra la placenta e l’intelligenza…questa scoperta ci ricorda che la scienza può svelare verità straordinarie anche nei territori più insospettabili, come la placenta. Ma per farlo ha bisogno di libertà. Solo una ricerca indipendente, libera da interessi e condizionamenti, può permettersi di guardare dove altri non guardano, di porre domande fuori dal coro. Sostenere la ricerca, quella indipendente, significa credere che ogni frammento della realtà può custodire un tassello essenziale del nostro futuro.