
Labubu, da oggetto da collezione a icona virale: ma cosa racconta questo fenomeno della nostra società (e dei nostri consumi)?
Nel mare magnum dei trend globali, ogni tanto spunta un personaggio capace di fare breccia in culture, mercati e… feed social. È il caso di Labubu, il mostriciattolo “ugly-cute” nato in casa Pop Mart, la compagnia cinese diventata regina indiscussa delle blind box: scatole a sorpresa da collezione, spesso con tirature limitate e varianti ultra-rare ricercate dai fan e vendute sul mercato secondario a cifre da collezionismo d’arte.
Labubu: quando il design diventa un asset da milioni
Per comprendere l’impatto di Labubu, basta guardare i numeri. Fondata a Pechino nel 2010, Pop Mart ha trasformato un semplice negozio in un colosso della cultura pop globale, quotato in borsa e con punti vendita in tutto il mondo. Il merito? In gran parte di Labubu, protagonista della linea “The Monsters”, che nel 2024 ha generato da solo il 23% del fatturato complessivo dell’azienda. Un dato clamoroso, soprattutto se si considera la crescita: +700% in un solo anno, a conferma di come un personaggio ben progettato possa diventare non solo un oggetto di culto, ma anche un driver economico potentissimo.
Ma perché Labubu piace così tanto? Il successo di Labubu non è frutto del caso. Alla base del suo appeal vi è un mix di elementi ben calibrati:
- il design volutamente “brutto-carino” che rompe gli schemi del kawaii tradizionale;
- il meccanismo della scatola a sorpresa, che alimenta suspense e desiderio di completare la collezione;
- la viralità social: Labubu è ovunque, da TikTok a Instagram, passando per i video di unboxing di influencer internazionali.
Un mix perfetto per far impennare vendite, hype… e nuove domande.
Labubu e il lato (in)consapevole del collezionismo: una riflessione sulla sostenibilità dei prodotti culturali

Il successo travolgente di Labubu non si spiega solo con il design accattivante o la strategia vincente delle blind box. È qualcosa di più profondo: un riflesso dei nostri desideri, delle nostre abitudini di consumo, del nostro rapporto – spesso ambivalente – con gli oggetti. Labubu è più di un semplice giocattolo da collezione: è un simbolo culturale che incarna i paradossi del collezionismo contemporaneo.
Oggi non si colleziona più (solo) per passione o per valore storico: si colleziona per appartenere, per partecipare a una narrazione condivisa, per esprimere un’identità. L’oggetto diventa medium, specchio e status symbol. Ma a quale prezzo?
L’aumento della domanda di figure collezionabili come Labubu ha portato a una produzione intensiva di oggetti in plastica, con un impatto ambientale non trascurabile. È vero: la loro natura collezionabile li sottrae, almeno in parte, alla logica dell’usa-e-getta, favorendone la conservazione e il riutilizzo tramite scambi e mercati secondari. Tuttavia, ciò non basta a esonerare questi oggetti dal più ampio discorso sulla sostenibilità.
Rimane infatti una questione cruciale: la produzione industriale, l’uso di materiali plastici, il packaging e l’intera filiera logistica sono fattori che incidono significativamente sull’impatto ecologico. In un momento storico in cui la sostenibilità non può più essere rimandata, il successo di Labubu ci spinge a riflettere: è possibile conciliare desiderio e responsabilità?
Pop Mart è pronta ad affrontare la sfida green?
Secondo un’analisi PESTLE del settore – che considera i fattori Politici, Economici, Sociali, Tecnologici, Legali e Ambientali – Pop Mart ha avviato iniziative concrete nel campo del packaging sostenibile, con l’obiettivo dichiarato di ridurre del 50% i rifiuti da imballaggio entro il 2025.
Si tratta di un passo significativo, che dimostra, almeno a livello strategico, una volontà di cambiamento e che, se accompagnato da azioni concrete e da una maggiore trasparenza, potrebbe aprire la strada a scelte più consapevoli anche in altri ambiti: dalla selezione dei materiali, alla gestione logistica, fino alla responsabilità sociale e alla comunicazione con il pubblico.
E se Labubu diventasse anche ambasciatore di una nuova estetica sostenibile, oltre che re delle blind box? Perché forse, in quegli occhi spalancati e quel sorriso da piccolo furfante, si nasconde una freccia ben più profonda: diretta non al cuore, ma alla coscienza.